Ed eccomi qui, a scrivervi da una camera buia della Silicon Valley. Buia perché sono le 06:31. Vi avevo lasciato con la promessa di un diario di viaggio fantasmagorico, in cui immaginavo di raccontarvi ogni giorno le cose che stavo imparando qui. Impossibile. E prima o poi imparerò a non fare promesse.
Il corso si è rivelato molto più intenso di quanto pensassi, trattenendomi fuori casa una media di 13-14 ore al giorno. La sera, rientrando, ho solo avuto voglia di spiaggiarmi sul letto, sempre che non avessi altri compiti da fare per la mattina successiva. (Tutto ciò deve essere la giusta punizione per gli anni di folleggiamento del liceo 😉 ).
In compenso, ho preso appunti e immaginato cosa raccontarvi.
Non vi dirò quanto sia figo essere nella terra dove sono nati AirBnB e Uber. O di quanto qui si respiri davvero l’aria della sharing economy. Nossignori, troppo ovvio.
Vi narrerò, invece, dell’illuminazione che ho avuto cenando con pomodori e prugne. In tutti questi giorni, per quanto affascinata dalla realtà della Valley, c’era sempre qualcosa che mi lasciava un passo indietro. Non ho sentito la freccia di Cupido colpirmi al cuore e ho notato molte cose che da noi non funzionerebbero.
Nello specifico:
1. Ho sentito troppo parlare di money e poco di fare impresa. Money, money e ancora money. L’importante è che tu faccia soldi, le ricadute sociali del tuo progetto interessano poco o niente.
2. Il breve e il lungo periodo: un po’ triste constatare che spesso l’obiettivo non è costruire qualcosa che duri nel tempo ma farsi acquisire da uno dei giganti dell’area (Google piuttosto che Facebook). O, come dicono qui, the exit strategy.
3. C’è una differenza sostanziale anche nella gestione del denaro. La cultura europea (e specialmente quella italiana) è quella di risparmiare e tendenzialmente di fare un investimenti solo se si hanno le risorse, almeno per partire. Qui è esattamente l’opposto: Save Vs Invest. Nella maggior parte dei casi si tratta di soldi non tuoi, ma ottenuti attraverso grossi prestiti (anche per pagare l’istruzione dei figli) o investitori (nel caso di start-up). La cultura dell’haircut investor: the lower the haircut, the safer the loan is for a lender.
4. E’ tutto estremamente cinematografico: grandi effetti speciali, grandi aziende, grandi progetti che devono essere scalabili e alla ricerca del “Big One”. Noi, invece, siamo medio-piccoli e più teatrali, ma forse anche più genuini.
5. Infine, ho capito che c’è una grossa differenza tra il nostro e il loro concetto d’impresa, tra il loro entrepreneur e il nostro artigiano. Sarò di parte, ma sono cresciuta a pane e ricami, nel laboratorio artigianale di una donna che ha passato la sua vita a creare opere con le sue mani.
Questo non significa che mia madre fosse una “bottegaia” (nel senso dispregiativo del termine) o che non pensasse in grande, anzi. Nella sua carriera lunga 30 anni, ha lavorato per grandi aziende come Blumarine e Cavalli, rimanendo pur sempre fiera di essere un’artigiana. Cercate l’etimologia di artigiano, è bellissima: Chi esercita un’arte.